
La Sardegna possiede il 40 per cento dell'intero patrimonio ovicaprino nazionale (3 milioni di pecore e 200 mila capre) e, conseguentemente, detiene il sistema pastorale più importante in Italia. Il pastoralismo è una cultura, un modo di rapportarsi tra uomo e territorio. Non una cultura residuale ma, fino ad oggi, in espansione. Il pastore è sceso dalle montagne verso le colline e le pianure della Sardegna. Ha anche realizzato una transumanza lunga perché ha varcato il mar Tirreno, ha colonizzato non solo le terre abbandonate dagli agricoltori sardi ma anche quelle dei mezzadri, soprattutto della Toscana. Nel secondo dopoguerra il progressivo appoderamento delle aziende pastorali e l'abbandono delle transumanze hanno portato a una relativa stanzialità delle greggi. Si è verificata una trasformazione degli allevamenti in aziende sedentarie con sostanziali miglioramenti fondiari, diffusione delle trattrici, degli edifici razionali, della mungitura meccanica, della refrigerazione del latte alla stalla. Il pascolamento a cielo aperto, integrato dalla coltura degli erbai, è tuttavia ancora oggi la base alimentare di gran lunga prevalente per gli ovini della Sardegna. La pastorizia è da questo punto di vista, come mostrano molti studi recenti a livello internazionale, un sistema più che mai sostenibile in tempi di crisi ambientale e alimentare perché si mostra in grado di garantire produzioni in ambienti marginali, abbandonati dalle moderne agricolture, se coniuga l'attività col rispetto dell'ambiente: può essere una risposta antica a problemi del futuro.
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